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Ho tolto gli occhiali

 

Stancamente ho tolto gli occhiali e ho indossato la mia calda vestaglia di lana rosa. Un pomeriggio come tanti, stanco e  lento come un vecchio ingranaggio senza olio. Mi sento stanca e sfibrata e decido che una camomilla calda è proprio quello che ci vuole per calmare i miei mille pensieri sui mille problemi che la vita presenta ogni giorno.

Per perfezionare la mia idea di tranquillità inserisco la segreteria telefonica e spengo il cellulare.

Accendo una candela profumata, quella alla rosa, così soltanto quella piccola fiammella illuminerà la stanza.

Così, nella penombra e senza occhiali sono finalmente libera di sfiorare con lo sguardo sfocato i contorni di ciò che mi circonda e mi viene in mente un’idea meravigliosa: posso dare colori e forme diverse al mio solito ambiente.

Amo la quiete che mi avvolge pian piano; è come fermarsi davanti a una vetrina senza aver fretta di andare via perché si fa tardi.

La fiammella della candela è carica di luce e come in una sfera magica, in lei si riflettono i miei pensieri, quelli che amo di più in assoluto, i miei ricordi.

Quanti ricordi… ne possiedo una magnifica collezione. Nessuno se ne rende conto, nessuno pensa mai neanche per un attimo che sono proprio i ricordi i semi del futuro e il modo per vivere meglio il presente.

Compiere ogni tanto un viaggio dentro se stessi, guardarsi dentro, è una cosa che intraprendono in pochi e anche io ho qualche difficoltà in questo momento, lo ammetto.

Per fortuna a volte prevale il mio buon senso e penso convincendomene, che possiedo ricordi piacevoli, una vera culla di dolcezza nel mio cuore.

A cinquant’ anni si dice che si è nella mezza età, ma è un qualunquismo… chi vive oltre i cento anni? Nessuno praticamente… quindi direi che io a cinquantatré anni ho decisamente qualcosa di più della mezza età…

Ripenso con un pizzico di dolcezza alla telefonata di ieri con una mia cugina che non sento praticamente mai. Alla fine della telefonata, mi accorgo che la durata è stata di un’ora, 11 minuti e 28 secondi… Oddio mi sono detta, ci voleva proprio questa bella chiacchierata.

Insieme abbiamo ripercorso a sprazzi tanti momenti del passato, ho assaporato la sensazione di mille cose che ci accomunano e che ci hanno unite fin da piccole.

Che bello, i pensieri incalzano e mi fanno rivedere una vecchia scala, la scala della casa dei nostri nonni. Noi cugini ci incontravamo soltanto durante l’estate e quella scala era piena di risate, scherzi e baldoria senza fine…

Tutte le mie cugine ed i miei cugini… Enza, Gina, Gianni e Graziano, Egizia e Nadia, Antonella e Anna ed io, Daniela. Nove pesti in subbuglio, questo eravamo. Ognuno diceva la sua; qualcuno stava zitto per qualche attimo per poi ricominciare  con la proposta di un nuovo gioco o lanciando qualche idea da mettere in pratica come ad esempio andare a giocare a pallone nei prati o andare a raccogliere le more.

A noi nove si aggiungevano poi anche i bambini del vicinato, più o meno anche parenti e diventavamo una brigata di una ventina di scatenati.

Che giorni meravigliosi! Quella vecchia casa sembrava un alveare. C’era silenzio soltanto di notte. Al mattino si alzava lentamente il sole e noi con lui e popolavamo la vecchia scala perché era la parte centrale della casa. Era il nostro punto di raccolta. A volte le mamme gridavano perché avevamo abbandonato la colazione sul tavolo e ci eravamo già sistemati per le scale. Ce ne volevano di strilli per farci muovere! Quando poi arrivava nostra nonna Rosina cercando di fare ordine, le cose  si calmavano per qualche attimo cioè fino a quando anche lei si sedeva in mezzo a noi a chiacchierare e a raccontarci sempre storie nuove su quella sua vecchia casa.

La casa ha due piani e su ogni piano ora ci sono due  appartamentini, quindi di appartamenti ce n’erano quattro. Erano piccoli quanto era grande la nostra felicità di stare insieme.

Nonna Rosina aveva tanti ricordi e per ogni parte della casa, ricordava esattamente i fatti che si erano svolti tanti e tanti anni prima. Nella parte della casa dove io stavo con mio padre e mia madre aveva ospitato ben sedici tedeschi durante la guerra. Nell’appartamentino degli altri zii era stata allestita la cucina e il forno dove mia nonna aveva fatto la fornaia per tanti anni. Ai piani superiori c’era stato il quartier generale di alcuni tedeschi graduati e nel quarto erano stati relegati i miei nonni con tutti i loro sette figli.

Che gran donna mia nonna! Aveva saputo conquistarsi la fiducia di tutti ed i soldati la chiamavano mamma. Mio nonno Giovanni oltre al duro lavoro dei campi aveva la sua musica, il suo quartino che suonava con grande maestria anche nella banda del paese insieme ai figli maggiori, Oreste e Tonino.

Non vi dico l’emozione che provavo da bambina quando iniziavano le feste patronali… Alle otto in punto si sentivano i colpi scuri, praticamente fuochi d’artificio senza luci che facevano rimbombare la montagna e poi verso le nove si iniziavano a sentire le note della banda che si arrampicava su per le stradine sassose verso casa nostra.

Si fermavano davanti alla porta e suonavano in onore di mio nonno Giovanni, di zio Oreste e di zio Tonino che avevano fatto parte della banda per tanti anni. Mi ricordo che mi affacciavo al balconcino di ferro battuto e battevo le mani, felice e fiera di quel brandello di passato che sembrava accarezzarmi.

Si popolavano anche le finestre del piano di sotto e tutti applaudivamo alla fine del brano dedicato alla nostra bella famiglia.

Ricordo mio padre e i suoi fratelli che sulla soglia di casa offrivano da bere e dei dolci a tutta quella banda festosa ma anche affaticata dopo tanta strada fatta per le salite del paesello.

Tutto era squisitamente semplice e il profumo dell’erba tagliata di fresco, il canto di un gallo tenace e le foglie dei grandi alberi che si muovevano al vento facevano da cornice a questo momento piacevole.

Mia madre e le mie zie uscivano anche loro per la strada, magari con le mani infarinate o con l’ago in mano perché stavano riparando qualche indumento.

La banda se ne andava e nonna Rosina diventava sempre triste; piangeva ricordando il marito che se n’era andato dal mondo troppo presto. Ripensava alla sua musica e al suo amato sigaro che fumava in tutta tranquillità seduto accanto al camino oppure sulle scalette di casa. Nonna ci raccontava quanto nonno Giovanni amava la musica, di come era riuscito ad emigrare in America per lavorare come operaio trovando la forza di andare a suonare la sera nei locali notturni… Povera nonna, che vita di sacrifici! Mi ricordo che noi nipoti facevamo cerchio intorno a lei e dopo la salutavamo per andarci a mettere il vestitino del giorno di festa.

Ci aspettavamo tutti davanti a casa e poi correndo e facendoci tutti gli scherzi possibili e immaginabili, ci avviavamo verso la Chiesa.

Dopo la Messa c’era la Processione e poi il pomeriggio andavamo tutti a passeggio. La serata trascorreva con la musica nella piazza del paese. La prima serata era dedicata alla banda che suonava musica classica, mentre la seconda serata era dedicata a cantanti anche famosi. A mezzanotte arrivava la pupazza... mamma mia come ci divertivamo noi bambini! Spruzzava fuochi d'artificio mentre ballava in cerchio e le luci illuminavano i sorrisi di tutti gli astanti. I fuochi d'artificio concludevano la serata e molto malvolentieri salivamo su, verso casa nostra per andare a dormire.

Osservo per un attimo la luce della candela accesa, trema un po', forse perché mentre pensavo, sospiravo... Dolci ricordi, momenti indelebili che ora sono diventati per me preziosi più dell'oro, perché tutto questo ora non c'è più... La vecchia casa è diventata malinconica, tanti se ne sono andati...

Anche il nostro bel vicinato non c'è più... La strada davanti casa ora è deserta e da qualche tempo un cartello con scritto vendesi... troneggia sul portoncino ormai consunto e opaco.  Su quel cartello vorrei scrivere tante cose, vorrei scrivere la storia felice di quella che ora somiglia a un vecchietto che si è addormentato sotto il sole...

Vorrei aggiungere... vendesi tutto... ma i sogni e i bei momenti trascorsi tra quelle mura resteranno miei per sempre, miei e di tutti quelli che lì dentro sono stati felici.

Tra quelle mura sono passate tante vite, quella casa è stato il teatro della nostra vita, dei nostri momenti felici, dei momenti meno belli vissuti in comunione, dove un sorriso non è mai mancato, dove tutto ha il dolce sapore schietto del passato.

La candela accesa accanto a me ora si sta quasi spegnendo e una lacrima si posa sul foglio dove sto scrivendo... Riprendo i miei occhiali anche se non vorrei... Con tutta me stessa vorrei poter tornare indietro e sedermi su quella vecchia scala, vorrei tornare bambina, avere tra le mani la vecchia bambola e tutti i miei cuginetti intorno e vedere le nostre mamme giovani e carine che facendo finta di essere arrabbiate ci chiamano per il pranzo...

La mia penna fa un punto sul foglio. L'ultimo sorso di camomilla è finito, ma il mio viaggio nei ricordi è stato eccezionale e giuro, oltre che sul foglio è scritto anche nel mio cuore.

 

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QUANDO TOLSI GLI OCCHIALI…

 

Quando tolsi gli occhiali avevo 53 anni ed ora di anni ne ho 61 ed ho dovuto rimetterli al loro posto. Sono in vacanza nei luoghi che mi hanno visto bambina, ma da quando tolsi gli occhiali otto anni fa, le cose sono molto cambiate. Non mi trovo nella vecchia casa dalla scala di marmo, ma sono ospite nella casa di mia figlia, la figlia più piccola, la ragazza più temeraria e coraggiosa che conosco.

Con un’accurata introspezione e con un coraggio che non credevo di avere, ho rimesso gli occhiali al loro posto per vedere meglio il presente e trovare un luogo sicuro dove chiudere per sempre i ricordi che mi hanno fatto tanto male e conservare con cura soltanto quelli piacevoli.

Ho scoperto che dimenticare è una medicina necessaria e infallibile per guarire le ferite subite ed è quello che ho fatto.

Non sono andata a trovare la vecchia casa dalla grande scala di marmo, non ho voluto riassaporare nulla, neanche il silenzio rotto dal frusciare delle foglie sui grandi alberi che lambivano le finestre perché potevo correre il rischio che mi raccontassero di nuovo storie antiche.

Mi dovrà bastare la dolcezza dei vecchi ricordi, tutto qui. Perché crogiolarsi nella nostalgia di sensazioni e sentimenti che un tempo, con i miei occhi di bambina e poi di giovane donna, vedevo in un modo totalmente diverso da oggi?

Non ho più legami, gli affetti su cui credevo di poter contare si sono rivelati una falsa illusione.

Questa mattina passeggiavo per le viuzze di montagna e mi sono ritrovata vicino al campo sportivo dove mio padre giocava a pallone da ragazzo. Ho appoggiato la mia mano a quel muro, come se sfiorassi un oggetto sacro ed ho sentito dentro me che la nuova realtà, quella pagina così pesante che dovevo voltare, si stava muovendo.

Quando parlo con mio padre, anche se la sua memoria ormai non è più quella di una volta, non mi rendevo conto che lui ha voluto dimenticare perché tante volte mi chiedeva e mi chiede come mai il telefono non squilla mai, come mai sembra che non abbia mai vissuto. Io la risposta l’ho trovata nel momento in cui ho rimesso gli occhiali. Purtroppo come accade a tante persone, c’è chi smette di avere un cuore, di provare sentimenti per chi è diventato debole… Mio padre, anche se ha la mente offuscata, ha una lucidità che io non ho, che non capivo… o meglio… che non volevo ammettere.

Ora non credo più ai fronzoli e alle ipocrisie, ora mi sento libera e perché no… anche più forte.

 

©Daniela Costantini - Luglio 2018

 

 

 


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