Non ricordo il momento in cui ti salutai, ricordo soltanto che appena si chiusero le porte dell’ascensore, corsi al balcone per affacciarmi e per vederti. Il cuore mi batteva all’impazzata e per lo sforzo di fissare la strada i miei occhi mi facevano male. Bugiarda… bugiarda, mi dissi con sincerità, stai piangendo, non trovare scuse...

Mi ripetevo come in un mantra che era la tua scelta, eri cresciuta ed avevi pronta la formula per la tua nuova vita indipendente, lontana da me. In quei momenti una madre non misura le distanze… 10, 100, 1000 chilometri, sono la stessa identica cosa.

Finalmente i miei pensieri si distrassero perché ti vedevo, eri arrivata al portone e stavi portando i bagagli in macchina e non rivolgevi il tuo sguardo verso di me, eri troppo impegnata.

Meglio così mi ripetevo, non deve vedere le mie lacrime. Prima di salire in macchina però guardasti il nostro balcone, ma io non vidi molto attraverso i fiumi di lacrime che ormai scendevano copiosi. Non potevo trattenere l’emozione, sentivo il cuore scoppiarmi nel petto.

Vidi il tuo sorriso, eri raggiante di felicità ed io mi vergognai di non saper affrontare quel distacco annunciato.

Pochi altri istanti e la macchina iniziò a fare manovra per uscire dal parcheggio. La tua mano mi salutava ed io avrei voluto afferrarla, avrei voluto che fosse soltanto un incubo. No. Era tutto reale.

Pensavo al tuo entusiasmo per farmi coraggio, pensavo che eri felice… ma proprio non mi bastava.

Mi ripetevo che non ero la mamma perfetta che credevo di essere, ero soltanto un’egoista. No. Neanche quella spiegazione mi dava un po’ di sollievo.

Dal parcheggio al semaforo c’erano soltanto circa duecento metri ed io lucidamente, in quei pochi istanti pensai a tutta la nostra vita insieme.

Mi sorpresi a pensare alla gioia del momento in cui ebbi la certezza di aspettarti, le mie braccia come culla, i tuoi primi sorrisi ed i primi passi.

Quante emozioni nel mio cuore, nitide e precise nel mio cuore di madre. In un istante quelle braccia che ti avevano cullato, erano vuote dopo l’abbraccio di poco prima… eri veramente andata via.

In una mia poesia parlo di un bivio d’amore. Ecco, lo stavo vivendo e dovevo convincermi che era per questo motivo che avevo affrontato tanti sacrifici per crescerti. Era ciò che volevo, farti diventare una donna piena di energia e di voglia di imporsi al mondo.

Ogni volta che torni, non trovo più la ragazza insicura e sprovveduta che eri, ma la donna che sa affrontare la vita con i suoi ostacoli, lottando e non cedendo alle delusioni che non vengono risparmiate a nessuno.

Di anni ne sono trascorsi e ne trascorreranno ancora, ma io continuerò per sempre a tenere in vita il nostro profondo legame. A volte mi capita di chiamare la mia nipotina col il tuo nome e sorrido. A volte apparecchio con un piatto in più o preparo anche la tua tazzina di caffé… Se ho bisogno di parlarti afferro il telefono, ma sto migliorando… molte volte ormai non lo faccio perché ho il timore di essere invadente ed inopportuna.

Non mi abituerò mai alle tue partenze e continuerò a gioire per ogni tuo ritorno. Con te parte sempre una parte di me, ma il mio dominio di madre non ha più ragione di esistere.

Rassegnazione è una parola troppo impegnativa, non la voglio nel mio vocabolario.

Un filo sottile e profondo ci lega e questo trasforma ogni tuo ritorno in un momento davvero molto, molto speciale, carico della grande magia che soltanto l’amore tra madre e figlia può dare.

 

P.S. Ho impiegato più di cinque anni a scrivere questa mia storia, molte volte ci ho provato senza riuscirci, ma forse ora ho trovato il coraggio perché so con certezza che non tornerai mai sui tuoi passi.

 

Dedicata a mia figlia Elisa in una caldissima sera di luglio dell’anno 2019

 

 

 

©Daniela Costantini

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